Un terremoto dopo l’altro: India e Salvador senza pace


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i Marco Fantoni



Quando accadono queste catastrofi naturali ci si sente impotenti. È la natura che si muove, si potrebbe dire che si ribelli all’uomo. Iniziano i soccorsi d’urgenza sul luogo, gli aiuti dall’estero, le raccolte di fondi, l’aiuto d’emergenza. Questo è quanto normalmente le comunicazioni di massa ci propongono. Raramente il lavoro che è svolto in seguito da organizzazioni che rimangono sul posto occupandosi di tutto quanto si realizza nel dopo sisma è messo in rilievo.

Ci sono poi notizie, magari comunicate da grandi organi di stampa, come quella, apparsa sul Corriere della Sera del 6 febbraio scorso che non hanno grande risalto, magari impaginati in modo che il lettore poco attento, vede solo con la coda dell’occhio. Musau Costantino scriveva nel suo articolo; “Diverse attendibili fonti, da qualche giorno stanno segnalando un fatto scandaloso: i privilegiati, ovvero i membri delle Caste superiori, approfittano dell’assenza dello Stato e del loro potere e si appropriano dei frutti del soccorso internazionale. –Stanno sequestrando, ovvero impadronendosi di cibo, copertine/coperte e tende- grida Magan bhai Wagarbhai Paarmar, un esponente dei Dali, gli intoccabili. -Non solo i funzionari del governo non si sono degnati di verificare lo stato delle nostre 200 abitazioni distrutte. Hanno anche chiuso occhi e orecchi di fronte all’avidità delle classi superiori-. In India le Caste sono espressione di una gerarchia sociale implacabile e sono antiche quanto l’Induismo, la religione più diffusa. E pensare che Gandhi aveva soppresso le distinzioni e aveva chiamato tutti figli di Dio.”

L’agenzia missionaria MISNA riporta le apprensioni dei vescovi del Salvador che così tentano di richiamare l’attenzione internazionale: “Alla luce del Vangelo di Gesù e del magistero della Chiesa, vediamo che al terremoto fisico si unisce ancora qualcosa di più grave: il fenomeno sismico che diventa visibile in una visione materialista della vita e l’affanno smisurato del lucro; nella piaga del sequestro, del furto e delle altre forme di violenza; nell’indifferenza davanti al dolore altrui”. Proseguono poi nel loro appello “Gesti ammirabili di solidarietà, tanto da parte di connazionali come di stranieri sono stati notati, disgraziatamente a volte sono stati evidenti atteggiamenti ed azioni che riflettono angustia di vedute, incapacità di deporre interessi personali per onorare un bene maggiore, calcoli politici inammissibili, discriminazione nella consegna dell’aiuto ed altre deficienze che i mezzi di comunicazione sociale hanno fatto conoscere”. Rivolgendosi ai cristiani salvadoregni, l’arcivescovo di San Salvador, monsignor Fernando Saenz Lacalle, ha detto durante un’omelia domenicale: “Quelli che non possiedono aiutino a partire dalla loro povertà. Quelli che hanno molto, aiutino molto”.

Situazioni tristi che lasciano l’amaro in bocca, situazioni probabilmente già vissute in analoghe occasioni che ci inducono a riflettere anche sui pericoli dell’aiutare. Questo però non deve far venir meno la nostra solidarietà nei confronti di chi soffre, ma deve indurci a valutare esattamente il come vivere la Carità. Sul numero precedente della nostra rivista Dante Balbo sviluppava il tema della “Carità intelligente” rendendo attenti a come la solidarietà si esprime, in modo particolare durante un periodo, quelle natalizio, privilegiato per promuoverla. Nel caso dei terremoti e non potrebbe essere altrimenti, la solidarietà è espressa con le donazioni di fondi che è sicuramente il modo migliore. A volte, in modo particolare per Paesi vicini, si è tentati di organizzare raccolte di indumenti e altri materiali da inviare sul luogo. Questo non sempre è l’ideale di solidarietà in quanto compromette una serie di passaggi importanti nell’organizzazione all’aiuto. A questo proposito l’ex direttore della Caritas Italiana, don Elvio Damoli, dopo il terremoto dell’agosto 1999 in Turchia chiedeva soltanto aiuti in denaro, sia per rendere più efficienti e rapidi gli aiuti, sia perché l’acquisto in loco dei generi di prima necessità diventava un sostegno all’economia locale, già duramente provata.

Non vogliamo con questo scoraggiare tutti coloro che si adoperano per esprimere la loro solidarietà, anzi, si tratta però di accorgersi anche di quello che è realizzato in seguito, per quanto è possibile averne le informazioni, per poter valutare il proprio operato, evitando cosi, dopo l’offerta di “essere a posto con la propria coscienza”. La valutazione maggiore deve essere fatta, non tanto sul quanto si è raccolto e quanto fatto, ma sul come, cioè con quale approccio coloro che intervengono a favore delle persone colpite operano. L’attenzione alla persona è, anche in questi frangenti, il punto di partenza per ogni intervento di aiuto.